Carla Maria Fabiani
Il volume nasce
come raccolta degli atti di un convegno organizzato da Riccardo Bellofiore
presso l’Università di Bergamo (Facoltà di Economia) in occasione dell’uscita,
sempre per la Manifestolibri, del volume di Cristina Corradi dal titolo Storia dei marxismi in Italia. Allora, è
bene innanzitutto riportare le tesi sintetiche che Corradi espone in questa
raccolta alle pagine 9-31.
1. Rapporto
teoria e prassi. I protagonisti italiani di questo intricato rapporto
sono innanzitutto Antonio Labriola e poi Antonio Gramsci. Se il primo incentra
la sua lettura di Marx sulla nozione di “materialismo storico”, il secondo
restituisce una originale lettura delle Tesi su Feuerbach “da cui ha ricavato una filosofia della
prassi intesa come produzione di soggettività politica”. Subentrano nel secondo
dopoguerra, lo storicismo marxista e lo scientismo dellavolpiano.
L’operaismo degli anni ’60 sgancia il marxismo dall’idealismo tedesco, dal
socialismo francese e dall’economia politica inglese, proponendo “la tesi
politica della potenza antagonistica della classe operaia”. La crisi del
marxismo degli anni ’70 si manifesta nell’abbandono del paradigma della critica
dell’economia politica, relegando la lettura marxiana del capitalismo
all’Ottocento.
2. L’emblematica
vicenda di Luporini. Negli anni ’60, Cesare Luporini rilegge Marx alla
luce di Althusser, sganciandolo da Hegel e da Feuerbach. Nei successivi anni
’70, propone una lettura più attenta della prima sezione del Capitale, sottolineando poi la rilevanza
del contesto mondiale in cui si inserisce il rapporto di produzione
capitalistico, da tenere costantemente assieme con il problema dell’egemonia.
3. Fallimento
teorico del marxismo degli anni ’70 ovvero l’eclettismo filosofico
marxista. Alla fine degli anni ’60, Lucio Colletti, critico di Della
Volpe, sembra ispirare la ricerca, in campo marxista, di un’alternativa allo
storicismo e al dellavolpismo. Nella
seconda metà degli anni Settanta, tale linea viene però abbandonata da
Colletti, a favore di una riscoperta di Gramsci, atta a legittimare le vicende
politiche del compromesso storico. Con l’operaismo di Tronti e l’autonomia
operaia di un Negri, si tenta un rovesciamento della critica dell’economia
politica in critica dello Stato. Con Massimo Cacciari si propone la cosiddetta
autonomia del politico, sostanzialmente liberata da lacci e lacciuoli della
critica economico-politica. Marx, Nietzsche e Heidegger vengono tenuti insieme
per criticare storicismo e umanismo, considerando definitivo l’approdo del
capitalismo nella tecnica, senza più alcun richiamo al valore. Viene
altresì dipinta con toni tragico-melanconici la politica di sinistra, che
spazia dal “pensiero della differenza” fino al “pensiero del negativo” che
ripiega, negli anni ’80, “su un concetto
di politica limitata e infondata, che rinuncia alla rappresentazione di
soggettività sociali e a qualsiasi idea di bene comune per affidare un debole
messaggio messianico a figure angeliche.” Contestualmente, il binomio
Keynes-Sraffa non perviene a una critica compiuta nei confronti dell’economia
neoclassica, dove salario e profitto sono semplicemente considerati prezzi di
fattori produttivi relativamente scarsi.
4. Dalla crisi
della teoria del valore al post-moderno. All’inizio degli anni ’80 si
impongono tre indicazioni in merito al rapporto teoria/prassi in campo
marxista: il Capitale deve
essere relativizzato perché non aiuta a comprendere la dinamica istituzionale
della crisi; e con esso va superato il paradigma-Gramsci, con la presa d’atto
che politica e burocrazia sono indissociabili; si rinuncia alla dialettica e
contestualmente si derubrica il moderno a post-moderno. In pieni anni ’90 la
dicotomia destra-sinistra si svuota di significato.
5. Questioni
rimaste aperte. In questo quadro di storia del marxismo italiano – a
dire il vero presentato da Corradi in termini di netto fallimento sia teorico
che pratico-politico, se non addirittura di décadence – spiccano
tuttavia nomi importanti: la critica di Raniero Panzieri alle ideologie
tecnocratiche e neocorporative, il progetto di Colletti, non portato a buon
fine, di evidenziare l’originalità della dialettica di Marx rispetto a quella
hegeliana, lo studio dedicato da Luporini alla teoria del valore, il
“materialismo edonistico” di un Sebastiano Timpanaro, l’autocritica di Claudio
Napoleoni, la critica di Gianfranco La Grassa alla nozione generica di processo
lavorativo. Non da ultimo, la più recente rilettura della critica dell’economia
politica sulla base della nuova edizione MEGA2 delle opere di Marx, la
riscoperta di un’antropologia marxiana oltre Feuerbach e la riattualizzazione
del problema della trasformazione dei valori in prezzi.
6. La critica
al socialismo reale e la trasformazione. Se da una parte è stata
affrontata con estrema serietà l’incapacità delle società in transizione di
superare l’organizzazione capitalistica del lavoro, è stato al contempo
delineato un bilancio autocritico dell’esperienza sovietica, che supera la
concezione del comunismo come processo di progressiva estinzione dello Stato,
delle classi e del conflitto. È stato individuato nel “lavoro comunicativo”
post-fordista il segnale di una certa permanenza del comunismo nel capitalismo
(Negri-Hardt). Contemporaneamente, sul versante della teoria del valore, sono
maturate nuove letture, fra gli anni ’80 e ’90: la New Interpretation, il Temporal Single System. Entrambe hanno
autorevoli interpreti in Italia, quali Giorgio Gattei e Riccardo Bellofiore.
7. Rapporto
socialismo/democrazia, revisionismo storico e dialettica. Esponente di
rilievo del dibattito italiano sul problema dello Stato in Marx e, ancora più
di recente, del dibattito sul revisionismo storico è Domenico Losurdo, il quale
“contro la pretesa neoliberale di ridurre
l’hegelo-marxismo ad una metafisica organicistica, [...] ha rivendicato [...]
l’attualità della dialettica hegeliana [...].” Sul fronte
filosofico-antropologico spiccano i lavori di Costanzo Preve e in particolare
quello di Roberto Finelli che rilegge la struttura della “società civile”
hegeliana alla luce di una dialettica in re (secondo la logica
del presupposto-posto), evidenziandone i tratti di superiorità speculativa
rispetto al modulo feuerbachiano utilizzato dal giovane Marx proprio per
criticare l’etico-politico in Hegel. La conquista di un’autonomia, non sempre
evidente, di Marx da Hegel, si registrerebbe solo nei testi del Capitale, laddove le soggettività in
campo vengono svuotate di qualità da un principio di realtà astratto e
puramente quantitativo (la valorizzazione capitalistica).
8. Il marxismo
di Das Kapital. Finalmente,
solo ora, il marxismo italiano recupera il Capitale. Il marxismo di Maria
Turchetto, ereditando il nucleo vitale del pensiero di Panzieri, mette al
centro della sua analisi “l’articolazione tecnico-organizzativa del lavoro nel
suo nesso con la dinamica dell’accumulazione.” La teoria dell’astrazione lavoro
mette in campo una concezione marxiana della società vista come un “tutto strutturato
con un nucleo di riproduzione di ruoli dominanti e subalterni.” Parallelamente
a questa linea si trova quella di Riccardo Bellofiore che da una parte eredita
Napoleoni e dall’altra interpreta originalmente il processo capitalistico come
circuito monetario attivato dal finanziamento bancario e come sequenza del
lavoro astratto. “La teoria del valore di
Marx è perciò una teoria macroeconomica dello sfruttamento nell’ambito di
un’economia monetaria di produzione e una teoria microeconomica del conflitto.”
Conclude il quadro disegnato da Corradi la riflessione sull’astratto di
Roberto Finelli, in merito al recupero del Capitalein quanto critica
dell’economia politica, ovvero come programma di indagine ‘antimetafisica’ che
dal dualismo della merce mette in campo modalità di analisi atte a disvelare il
più fondamentale dualismo del rapporto capitalistico di produzione: “la
dissimulazione del lavoro astratto nel lavoro concreto.”
Come controcanto
all’intervento di Corradi ripercorriamo brevemente il contributo di G. Gattei
(pp.155-172). Ci sembra infatti che possa completare e chiarificare il quadro
sopraesposto dello stato attuale del marxismo in Italia. Tralasciamo per
ragioni di spazio tutti gli altri interventi, fra i quali, da segnalare, quelli
di S. Perri, R. Bellofiore e R. Patalano.
Gattei concentra
l’attenzione sui marxismi nostrani post-1945. Cioè quelli che in sostanza
avrebbero separato il Marx “feuerbachiano” dal Marx “ricardiano”, senza aver
considerato opportunamente il Marx del pluslavoro, categoria invece
fondante della valorizzazione capitalistica. Secondo Gattei è lo storicismo a
presentarsi come prima forma di marxismo, mentre il dellavolpismo si pone come
sua eresia. Ma che cos’è esattamente lo storicismo marxista? È stato un
“amalgama” di marxismo sovietico, filosofia gramsciana della prassi e di
esistenzialismo sartriano. Veniva esaltata la Prefazione del 1859 di
Marx, dove si legge che lo sviluppo inevitabile delle forze produttive avrebbe
provocato il rovesciamento dei rapporti privati di proprietà per sostituirli
con la proprietà pubblica e la pianificazione, di cui l’URSS era esempio
storico riuscito. A quest’approccio si opponeva l’esistenzialismo di Sartre che
nel 1946 in Materialismo e
rivoluzione invocava piena libertà per il soggetto umano nel fare la
rivoluzione, e perciò non deterministicamente realizzata dal rovesciamento
storico-materialistico. In Italia lo storicismo marxista è rappresentato
dai Quaderni del carcere di
Gramsci (1948-50), nei quali si accetta la sfida intellettuale sartriana
innestando, nella versione stalinista del materialismo storico, la “filosofia
della prassi” dedotta dalle Tesi su
Feuerbach di Marx. Il soggetto in questione certo non era il singolo,
ma l’umanità associata dei produttori. La coscienza di classe però doveva
essere coltivata dal Partito comunista che, come il moderno Principe, avrebbe
dovuto prendere il posto occupato nelle coscienze dalla divinità o
dall’imperativo categorico, mirando a suscitare la volontà collettiva nazionale
popolare verso il comunismo, stadio superiore di civiltà. Luporini rappresenta
felicemente in Italia tale connubio tra storicismo e umanismo. Successivo e in
controtendenza allo storicismo è il dellavolpismo visto anche in versione
Colletti. Della Volpe utilizza sostanzialmente i Manoscritti economico-filosofici del 1844 e la
precedente Critica della filosofia
del diritto pubblico di Hegel. Il soggetto collettivo dello storicismo
diventa il lavoratore alienato storicamente determinato, collocato nella
moderna economia di mercato. Il marxismo si propone così come una critica
materialistica dell’apriori e dei conseguenti processi di ipostatizzazione
propri del razionalismo tradizionale, che non vedono l’alienazione e
presuppongono un soggetto comunitario già bello e fatto. Su queste basi si
inserisce Colletti, che propone di leggere l’alienazione come astrazione empiricamente
e storicamente presente nella realtà. Se il lavoratore alienato astratto è
il soggetto in questione, dobbiamo scovarlo nel luogo in cui prende forma, cioè
nella fabbrica. La composizione di classe e cioè come si connette
tale lavoratore con la politica, diventa il tema centrale dei «Quaderni rossi» da cui origina
l’operaismo marxista. Raniero Panzieri rileggeva il Frammento sulle
macchine dei Grundrisse per
interpretare il fordismo italiano, l’operaio-massa, la sussunzione reale del
lavoro al capitale. Come individuare la linea di resistenza dell’operaio senza
qualità al dominio del capitale? Nell’essere massa: la composizione
di classe dell’operaio salariato fa sì che egli possa rifiutarsi di contrattare
il rapporto stesso (M. Tronti, 1966). Questo coincide, nella teoria economica,
con la considerazione del salario come variabile indipendente: a
questo si collega il c.d. sraffismo marxista. Il riferimento è a Claudio
Napoleoni che nelle Lezioni sul
Capitolo sesto inedito di Marx del 1972, spiegherà la rilevanza del
testo di Piero Sraffa Produzione di merci a mezzo di merci (1960),
grazie a cui interpretare l’antagonismo distributivo fra profitto e salario non
con regole ‘oggettive’, ma in base alla forza politica manifestata sul campo
dall’una o dall’altra classe sociale. Segue a Napoleoni Pierangelo Garegnani,
nella considerazione del salario come variabile esogena al sistema,
indipendente dalla teoria del valore-lavoro. «È stato questo sraffismo implicito a sostenere
ideologicamente lo straordinario ciclo di lotte compreso tra l’autunno caldo
del 1969 e l’occupazione della Fiat del 1979[...].» Su queste basi prende
corpo l’autonomia operaia di un Toni Negri, che intende superare la
teoria del valore, non più intesa come ‘luogo’ della lotta di classe, la quale
invece si presenta come antagonismo fra Stato e proletariato diffuso e
indistinto. Si affianca a questa linea quella dell’autonomia del politico di
Mario Tronti. Secondo Gattei è proprio questa la deriva marxista-storicista che
conduce all’autonomia-primato della politica. L’autonomizzazione della sfera
circolatoria del capitale ricomprenderebbe, per es. secondo Vacca, Stato e
partiti con funzioni di collegamento dell’economico alla cosiddetta democrazia
progressista dei cittadini-produttori. Si registra così di fatto l’abbandono da
parte della sinistra post-moderna di Marx e la virata verso Weber, Luhmann,
Parsons e Scmitt.
Tuttavia Gattei,
seguendo Corradi, rileva un marxismo che resiste ed insiste nella critica della
filosofia (C. Preve, D. Losurdo, R. Finelli) e nella critica dell’economia
politica (G. La Grassa, M. Turchetto, E. Screpanti, R. Bellofiore, lo stesso
Gattei e G. Carchedi). Un marxismo che considera Das Kapital l’unica narrazione critica disponibile della
moderna e insieme post-moderna società borghese. Vediamo in che senso.
Il modo di
produzione capitalistico si fonda sul rapporto di lavoro salariato e
attraverso di esso sull’estrazione di lavoro e pluslavoro. Rapporto di lavoro
salariato che è tale solo nella misura in cui ciò che si scambia è labour
commanded offerto da working poor. Saranno poi le modalità di
esecuzione e la durata temporale di tale lavoro vivo a qualificare la capacità
di comando del capitale sugli «obbedienti», e non certo le tipologie di
contratto e di retribuzione concordate nello scambio.
Risulta poi
dirimente la nuova frontiera della trasformazione dei valori-lavoro in prezzi
di produzione. Gattei riprende criticamente Sraffa, notando come il concetto di
“prodotto netto aggregato” (ciò che resta delle merci tolte tutte quelle
occorse alla produzione) non è altro che l’altra faccia (l’altro “numerario” in
termini di prezzo) del “lavoro vivo” complessivamente richiesto per produrlo.
Si tratta a ben vedere della stessa grandezza: una volta vista sotto il profilo
della distribuzione del prodotto netto tra le classi sociali, l’altra volta
sotto quello della sua origine dal lavoro “altrui”. Tale equivalenza tra prezzo
di produzione del netto con il lavoro vivo riporta sulla scena la
categoria di valore come neovalore-lavoro e non più come “lavoro
morto” (aggirando così le difficoltà che seguono ad una interpretazione
ricardiana della trasformazione dei valori il prezzi). In ogni caso, afferma
Gattei, di tutto questo fuori dall’Italia se ne parla da circa vent’anni. Posta
tale equivalenza tra lavoro vivo e prodotto netto, si definisce il monte-salari
dei lavoratori nel loro insieme, con cui vengono acquistate le merci necessarie
al loro benessere, traendole dal prodotto netto aggregato, di cui, data la
sottrazione, resta il profitto. Questa sarebbe la quota di partecipazione della
forza lavoro al lavoro-vivo (lavoro necessario) ed il resto (il profitto) è
il pluslavoro. Profitto e pluslavoro sono perciò la stessa grandezza:
sebbene espressa in unità di misura differenti (profitto in termini di prezzi
di produzione, pluslavoro in ore). Inoltre, il profitto può essere espresso
solo a ciclo concluso, quando cioè le merci sono state vendute, mentre
l’ammontare di pluslavoro è determinato da quanto lavoro vivo si è riusciti a
comandare e dalla percentuale di monte-salari accordata ex-ante. In altre
parole: la realizzazione finale del profitto sanziona solamente – e non
aggiunge nulla a – ciò che già è stato prodotto-erogato-ripartito nel luogo di
produzione. Luogo di valorizzazione capitalistica sulla cui porta sta
scritto: Vietato l’ingresso ai non addetti al lavoro vivo.
Gattei conclude
il suo intervento, assai chiaro ed efficace, con l’invito ad essere marxiani e
non più marxisti ovvero a considerare il Marx della critica
dell’economia politica tenendo a debita distanza sia il Marx “giovane” sia il
Marx “anti-borghese”. Il marxismo, che appartiene a questi due ultimi Marx, va
in sostanza abbandonato alla sua storia - come appreso da Corradi e da Gattei -
per lo più fallimentare. La sola prospettiva di comprensione e di liberazione
che si ha, marxianamente, è perciò quella legata alle lotte contro lo
sfruttamento del “lavoro vivo”, le quali rappresentano l’unico “fronte che
spinge l’essere sociale capitalistico […] a realizzare il proprio fine (che è
la sua fine) di superamento della necessità economica.” (p. 171).
Indice
Premessa di R.
Bellofiore
Storia dei marxismi in Italia: un tentativo di sintesi di C. Corradi
Genesi e sviluppo del paradigma marxista in Italia di R. Patalano
Panzieri e la ripresa del marxismo nella sinistra tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta di V. Rieser
Sui «fondamenti filosofici» dell’operaismo italiano di A. Zanini
I «due Marx» e l’althusserismo di M. Turchetto
Il rapporto Marx-Hegel e il concetto di «storia» fra della Volpe e Luporini di R. Fineschi
Un marxismo «senza Capitale» di R. Finelli
Il doppio circolo di Hegel e la dissoluzione di Marx nell’idealismo di R. Sbardella
Il via crucis dei marxismi italiani di G. Gattei
Le conclusioni non concludenti del dibattito su Marx tra gli economisti italiani dopo il 1960 di S. Perri
Quelli del lavoro vivo di R. Bellofiore
L’«eccedenza» di Marx e il capitalismo «totale» di F. Bertinotti
Per la formazione politica delle nuove generazioni di D. Balicco
Storia dei marxismi in Italia: un tentativo di sintesi di C. Corradi
Genesi e sviluppo del paradigma marxista in Italia di R. Patalano
Panzieri e la ripresa del marxismo nella sinistra tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta di V. Rieser
Sui «fondamenti filosofici» dell’operaismo italiano di A. Zanini
I «due Marx» e l’althusserismo di M. Turchetto
Il rapporto Marx-Hegel e il concetto di «storia» fra della Volpe e Luporini di R. Fineschi
Un marxismo «senza Capitale» di R. Finelli
Il doppio circolo di Hegel e la dissoluzione di Marx nell’idealismo di R. Sbardella
Il via crucis dei marxismi italiani di G. Gattei
Le conclusioni non concludenti del dibattito su Marx tra gli economisti italiani dopo il 1960 di S. Perri
Quelli del lavoro vivo di R. Bellofiore
L’«eccedenza» di Marx e il capitalismo «totale» di F. Bertinotti
Per la formazione politica delle nuove generazioni di D. Balicco
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