
Per fare un reportage bisogna essere curiosi. E sentire un’impellenza. Pucciarelli e Russo Spena vogliono spiegare perché in Spagna, non si parla più di “sinistra”, come aspirazione ad un dover essere, ma di una “sinistra” come una pratica costituente. Per questo “unire la sinistra” è un’idea che è stata da tempo abbandonata per manifesta incompatibilità con il senso comune, creato tra l’altro dagli imponenti movimenti contro l’austerità e la corruzione in Spagna dal 2011 a oggi.
Con semplicità quasi teleologica, questo libro mostra che è
possibile far coincidere le aspirazioni con la vita di ciascuno. Qualcosa che
il neoliberismo ha reso impossibile. O, almeno, così sembra. Per capire la
spettacolare ascesa di Podemos dalle europee di maggio a oggi (avrebbe il 27%
dei consensi in Spagna, come Syriza in Grecia) chi in Italia si definisce “di
sinistra” – ma lo stesso vale per chi si riconosce nei “movimenti” – dovrebbe
fare uno sforzo apparentemente proibitivo.
In primo luogo logico: “sinistra” non è il risultato della
somma di identità o reti, incarichi o cadreghe, individualità egoiste e
concorrenti, ma è un processo di auto-trasformazione delle identità così come
del campo politico in cui esse si riconoscono. Il movimento è complicato, e si
chiama immanenza. In questo movimento tra l’essere contro e dentro uno spazio
di “sinistra”, c’è la politica oggi.
Che cos’è la sinistra
“conservatrice”
Iglesias dice anche un’altra cosa: la “sinistra è
conservatrice”. Lo dice (in italiano) da un punto di vista di sinistra, di chi
viene dai movimenti – No Global e i disobbedienti. Iglesias, come Tsipras (che
però venne fermato ad Ancona) era a Genova nel luglio 2001, insieme a mezzo
milione di persone che veniva da tutta Europa. Il suo punto di vista non è
quello di Renzi e, ancor prima, di Berlusconi. È quello che hanno sempre
sostenuto i movimenti dagli anni Settanta ad oggi. Prima contro il Pci, oggi
contro la sinistra neoliberista. Per Iglesias la sinistra è conservatrice in
tutta Europa, e non solo in Italia, perché è l’espressione di paesi
conservatori che custodiscono il ricordo di un’età dell’oro: il vecchio patto
fordista-keynesiano. Quello che permise alla classe operaia di aspirare a
diventare “ceto medio” e al “ceto medio” di diventare il centro di gravita
permanente della politica, della società, all’interno dei flussi economici e
corruttivi di una società in disfacimento.
Oggi quell’età dell’oro è improponibile: il capitale
finanziario espropria la ricchezza comune; lo stato esiste per distruggere il
Welfare e affermare lo stato penale contro i cittadini. Pensare che il ceto
medio sia il soggetto che restauri la normalità perduta è pura illusione. Così
come è illusoria l’idea di ricostruire un equilibrio tra democrazia e
capitalismo. Podemos, inoltre, è la prima manifestazione di una soggettività di
massa che spacca il fronte del bipolarismo, e delle larghe intese, tra
socialisti e democristiani. E mostra la possibilità – ancora tutta da
comprendere e soprattutto da praticare – di un modo diverso di creare norme e
istituzioni all’interno di una democrazia partecipativa, radicale e dal basso e
non delegata, né rappresentativa.
Fuori dal campo
grillino
Podemos è un ufo per il piccolo mondo antico della politica
italiana. Subito i manutengoli del senso comune l’hanno ristretto alla commedia
dei Cinque Stelle. Eppure Iglesias, e il ristretto giro dell’università
Computense di Madrid citano – in pubblico, meno in Tv – Toni Negri, Gramsci,
Ernesto Laclau o il Venezuela. Parlano di “movimenti”, “socialismo”,
assomigliano alla prima generazione del movimento operaio europeo.
Non pongono il problema della proprietà dei mezzi di
produzione, né della rivoluzione. Per questo non possono essere definiti
“comunisti”. Considerati i rapporti di forza in Spagna, e in Europa, sarebbe
del tutto prematuro, per non dire grottesco. Loro dicono di essere realisti,
cercano il consenso, ma certo non sono antipazzanti verso Marx. Al momento più
che comunisti, sono socialisti europeisti, riformisti e di sinistra. Per le
definizioni, tuttavia, è ancora presto. Come nel caso di Syriza, molto
dipenderà dall’arrivo al governo. Un’esperienza insidiosa per tutti, oggi, in
Europa.
L’ambizione smisurata del leader Iglesias, con la quale
Pucciarelli e Russo Spena non sembrano simpatizzare molto, non mira a stabilire
una dittatura nel partito ma a sviluppare una forza politica. Si, certo,
Podemos protesta contro la “casta”. Ma questo non basta per ridurlo al folklore
grillino. La protesta è contro la corruzione endemica del capitalismo
finanziario e della democrazia europea. In più la democrazia elettronica di
Podemos non è guidata da un’azienda come la Casaleggio & Associati. Non
litigano sugli scontrini. I deputati europei hanno stabilito che il reddito è
di 1700 euro e basta. Soprattutto non hanno cercato l’alleanza con Farage e
altri liberisti xenofobi e nazionalisti europei. Stanno nella sinistra europea,
cercano alleanze e coalizioni con gli altri movimenti.
Podemos ha cioè acquisito la principale innovazione
culturale dei movimenti del XX secolo: quella che Deleuze e Guattari hanno
definito la teoria dei “blocchi di alleanza”. Un approccio semplicemente
inconcepibile per il velletarismo totalitario dei Cinque Stelle.
Politica dei desideri
Intendiamoci, ogni aspirazione democratica è legittima: fare
volontariato, creare un club della lettura, auspicare una riunione di
condominio. E anche fare la sinistra. E non importa che lo stesso slogan abbia
conosciuto esiti elettorali particolarmente mediocri, un atto di testimonianza
marginale all’interno di un campo politico evaporato dalla fine del Pci e poi
dall’implosione della Rifondazione comunista di Bertinotti.
In Spagna chi fa Podemos – “possiamo”, verbo che vale come
un’esortazione, ma anche come la realizzazione di una potenzialità, oltre che
un potere collettivo – non ripete la legge del dovere recitata come il vangelo
in ogni assemblea della sinistra, a tutti i livelli. Si deve, ma non si può
fare. Si allude alla possibilità di esistere, anche se non si esiste. Ci
sarebbero dei diritti, ma non si possono avere. Si potrebbe lavorare, ma ora
non è possibile. Si può sognare, ma bisogna farlo dopo. Invece lo possiamo fare
ora e adesso, cioè nel tempo della politica: il presente.
Fare politica oggi
Il corollario di questa tesi Pucciarelli e Russo Spena lo
trovano nelle testimonianze raccolte tra attivisti e dirigenti di Podemos: «La
politica è desiderio. Fare politica nel XXI secolo è capire le condizioni di
sfruttamento dell’operaio cinese, la negazione del diritto allo studio della
studentessa spagnola, i problemi di salubrità nelle favelas di Rio di Janeiro,
la precarietà del ricercatore italiano o la rabbia del gay russo. La politica è
desiderare di essere la parte che crea un altro mondo». «Vogliamo occupare il
centro della scena politica. Ci auguriamo che la nostra storia e il nostro
progetto diventino maggioranza, senza mediazioni col sistema politico che ci
governa dal 1978. Noi rappresentiamo il futuro».
Fare politica nel presente significa liberare il desiderio;
identificarsi in una parte dei senza parte; collocarsi lì dove c’è la
partizione tra ruoli e classi, ma dal punto di vista dell’universale. Questo
significa abolire la stessa partizione.
La differenza con chi vuole “fare la sinistra” è colossale.
E risale sino ai tempi di Marx: non è necessario trovare una collocazione in
uno spazio già dato (cioè a “sinistra”), ma abolire le regole che hanno creato
quella divisione dello spazio politico per aprire il campo all’universale. Così
si spiega il fastidio di Podemos per la destra o per la sinistra. La sua
politica è chiaramente di sinistra, ma eccede programmaticamente la divisione
classica invalsa sin dalla Rivoluzione francese. In questa “eccedenza” nasce
l’apertura che fa affluire il respiro, crea l’entusiasmo, l’identificazione con
un universale concreto e singolare, il desiderio di agire insieme.
Il problema del
populismo
«Noi siamo per l’unità popolare, un concetto più ampio
dell’unità della sinistra” aggiunge Iglesias. Non è una definizione da poco,
non priva di ambivalenze. Designa un campo che il socialismo neo-bolivariano, o
le teorie sul populismo di Ernesto Laclau nelle quali si riconosce Podemos,
declinano in maniera molto diversa dal “populismo digitale” grillino. Il “popolo”
è l’universale che sta al di là della “destra” e della “sinistra” e cambia le
partizione dei ruoli che per tradizione vengono assegnati a questi concetti.
Per Grillo questa funzione la svolgono i “cittadini”.
Nel popolo Podemos identifica un soggetto generale della
politica, il 99% di cui parlavano Occupy Wall Street o gli indignados. È lo
stesso concetto nel quale il
filosofo argentino Laclau ha inteso identificare il trascendentale vuoto che
riassume le istanze eterogenee che provengono dalla base. Il popolo è il
soggetto universale che viene riempito da queste “domande” ed esprime
l’”egemonia” del gruppo che si è impadronito del potere. Verosimilmente con le
elezioni, quelle a cui si candida Podemos.
Laclau comprende il rischio del leaderismo,
l’identificazione del capo con il suo popolo, ma propende per l’idea che il
capo possa essere il “medium” dei desideri del “suo” popolo, l’universale
incarnato che permette l’attualizzazione della giustizia. Pucciarelli e Russo
Spena spiegano nel reportage come questo rischio sia l’occasione di un
conflitto politico con chi sostiene una strategia “basista” e articolata
secondo il canone classico del partito novecentesco. Nella politica populista
“di sinistra” il conflitto con il leader è un altro aspetto della lotta di
classe.
Il popolo, come la sinistra, è tuttavia una parola
impronunciabile in Europa. È il punto di riferimento della destra leghista, ad
esempio, perché richiama scenari politici neo-sovranisti e nazionalistici
contrari all’europeismo politico di Tsipras. Non solo. Il popolo si presenta
sempre come soggetto scisso, e mai uniforme. Sempre contendibile tra i gruppi
alla ricerca dell’egemonia.
Il paradosso democratico
Per il critico americano Fredric Jameson questo è il lascito
dell’eredità lacaniana nel pensiero di Laclau e quindi dei “populisti di
sinistra” che vivono in Venezuela o in Spagna. Prima negato, e poi affermato,
il soggetto della sua politica si presenta scisso e mai unificabile. Allo
stesso tempo, però, si identifica nei programmi rivoluzionari che offrono
immagini allettanti di unificazione e totalità (l’unità popolare”) agli
individui per combattere il neoliberismo.
Per Jameson questa proposta è compromessa da un errore di
base: l’omologia tra soggetto individuale e totalità sociale. Il soggetto
«post-marxista», rivendicato da Iglesias e dagli intellettuali di Podemos,
ragiona su un individuo o sui «movimenti sociali» che competono tra loro sventolando
i vessilli della loro identità, una realtà che ben conosciamo sin dagli anni
Ottanta. Non è un caso che nelle testimonianze raccolte da Pucciarelli e Russo
Spena in Spagna questo tema ritorni spesso.
La lotta per l’egemonia in Europa si gioca tutta sulla
capacità di affrontare questo paradosso democratico, il vero problema politico
contemporaneo. Podemos cerca di farlo a partire da questa domanda: che cos’è un
movimento di sinistra che ripudia la sua appartenenza alla sinistra?
Matteo Pucciarelli – Giacomo
Russo Spena
Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra
Edizioni Alegre (2014), pp. 128
Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra
Edizioni Alegre (2014), pp. 128
![]() |
http://www.alfabeta2.it/ |